Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano… E soprattutto Mosca. Negli anni venti Benjamin scrive per giornali e riviste una serie di articoli-reportage sulle città dove, per varie ragioni, gli capita di soggiornare. Nel segno della lucidità e della precisione, ma anche dell'evocazione e dello smarrimento, lo sguardo di Benjamin riesce a catturare l'«anima» di ogni luogo. Libro postumo, assemblato da Peter Szondi nel 1955, Immagini di città viene qui riproposto in un'edizione ampliata di tre scritti.
Alla base delle descrizioni delle città straniere di Benjamin non troviamo motivi meno personali di quelli che ispirarono Infanzia berlinese. Ma ciò non significa che egli non abbia saputo vedere quei luoghi nella loro realtà. Ché un paese straniero riesce a operare la magica trasformazione del visitatore in fanciullo solo se gli si mostra così pittoresco e così esotico come una volta era apparsa al bambino la propria città. Simile al fanciullo che sta con occhi attoniti nel labirinto inestricabile, Benjamin nei paesi stranieri si consegna con tutto il suo stupore e tutta la sua avidità alle impressioni che lo investono. A ciò deve il lettore quelle immagini che non potrebbero essere più ricche, più colorite, più precise. (…) Il linguaggio metaforico aiuta Benjamin – analogamente alla struttura da lui preferita: l'articolazione in brevi periodi – a dipingere le immagini di città come miniature. Nella loro sintesi di lontananza e vicinanza, nella loro incantata realtà, esse assomigliano a quei globi di vetro in cui la neve cade su un paesaggio, che furono fra gli oggetti preferiti da Benjamin.
Dalla postfazione di Peter Szondi
«Le città, colte da Benjamin in istantanee che fermano l'effimero nell'eternità dell'immagine, sono vive; la loro aura è la seduzione del sensibile e del presente. ma le loro case, le loro strade, i volti dei loro passanti hanno delle crepe che annunciano, come le rughe su un viso, lo sgretolarsi della vita e della storia». dalla prefazione di Claudio Magris