I femminielli rinviano alla problematica del corpo, a quella delle innumerevoli modalità di manipolazione di esso, come a quelle del mascheramento e del travestimento. Il corpo, lo sappiamo bene, è sempre e comunque un prodotto culturale, come ha posto in risalto una vastissima letteratura scientifica, a partire dal celeberrimo saggio Le tecniche del corpo (1965) di Marcel Mauss, ed ancora di più l'abbigliamento. E, contrariamente a quanto sostiene un diffuso proverbio, si può legittimamente affermare che "l'abito fa il monaco", che l'abbigliamento, cioè, fornisca una serie di indicazioni su chi lo indossa, delineando nella figura, il ruolo sociale, i valori che ritiene essenziali. Si ricordi, esemplificativamente, l'opulenza e lo sfarzo dell' abito aristocratico, sia quello di cerimonia che quello della "normale quotidianità", e analogamente, pur nell' indubbia diversità di classe, la ricchezza dell' abito cerimoniale contadino così lontano dal misero abito di fatica dei lavoratori della terra. Lo spogliarsi, il velarsi, il travestirsi sviluppano tutta la loro carica di seduzione, come le recenti cronache politiche e giornalistiche documentano, spesso con notevole drammaticità e con finalità a volte strumentali, indubbiamente discutibili. Il crescente successo della moda testimonia la sempre maggiore consapevolezza della centralità dell' abbigliamento. Anche il vestire le statue della Vergine, del Cristo morto, dei Santi ha forti valori rituali e simbolici, come ho avuto modo più volte di sottolineare in altra sede (Lombardi Satriani, 1971; Lombardi Satriani e Meligrana, 1996; Lombardi Satriani, 2000). Connessa a tale tematica è quella delle maschere, lungamente indagata dall' antropologia e dalla demologia: anche qui limitandomi soltanto ad alcune citazioni, La via delte maschere (1985) di Claude Lévi-Strauss e Le origini del teatro italiano (1955) di Paolo Toschi. Le maschere rinviano a un universo in cui dimensione mitica, orizzonti della classicità, piani psicopatologici si intrecciano continuamente, ponendo in risalto analogie e differenze, come hanno mostrato esemplarmente Bruno Callieri e Laura Faranda nel loro Medusa allo specchio: maschere fra antropologia e psicopatologia (2001). È quindi la complessità della tematica dei femminielli a determinare la conseguente necessità di un accostamento ad essa da molteplici angoli disciplinari, purchè nessuno di essi sia tentato da pulsioni di supremazia scientifica o di improbabile esaustività: in ciò consiste la riuscita operazione di metodo con cui Eugenio Zito e Paolo Valerio hanno curato la raccolta delle molteplici e diversificate voci di cui si compone questo prezioso volume. Il lettore potrà rapportarsi direttamente a questi scritti cogliendo così, sulla scorta di essi, le molteplici sfaccettature della realtà dei femminielli, con cui ebbi l'opportunità di venire in contatto nei primi anni Settanta, quando ottenni l'incarico di Antropologia Culturale all'Università Federico II di Napoli e iniziai con entusiasmo l'attività di insegnamento, trovando una platea di studenti reattiva e desiderosa di confrontarsi criticamente con il proprio territorio.I femminielli non possono essere relegati tout court nell'area dell'omosessualità, come pure a volte è stato fatto, né equiparati familisticamente ad altre realtà storiche e culturali, come per la condizione dei berdache, categoria ampiamente utilizzata dagli antropologi di cultura anglosassone e ripresa anche nella riflessione antropologica italiana.